ARMI DI DISTRAZIONE DI MASSA
Oltre la pandemia del Covid 19 stiamo subendo dei veri e propri focolai legati alle condizioni della quarantena in cui siamo costretti: un aumento della frustrazione generale ed una diffusione dell’ignoranza. L’ignoranza di cui parlo non è quello di “non sapere le cose” ma di presumere di saperle. La peggiore, che unità alla frustrazione che si riversa come un oceano nei canali social è ormai tracimata oltre il punto di Spillover Se non sapete cosa vuol dire allora non fate i virologi dilettanti perché non avete neanche letto il bel libro di David Quammen (nella Foto) edito da Adelphi, magari guardate sempre i programmi della Cuccarini, se vi va bene, o quelli di Del Debbio e Mario Giordano!
Ma è una questione di linguaggio? Se non si capisce che il linguaggio è un’arma di distruzione e distrazione allora non si può comprendere lo stato in cui viviamo. Dire che questa è “una guerra” non è solo sbagliato, ma VOLUTAMENTE sbagliato!
IL VIRUS SI MUOVE E NON CONOSCE FRONTIERE
Recentemente ho letto un bellissimo articolo sullo scorso numero di Internazionale di Arundhaty Roy, l’importante scrittrice indiana che vinse il Booker Prize, uno dei premi più importanti al mondo nell’editoria, col suo romanzo d’esordio Il Dio delle Piccole Cose e nel 2017 ha dato alle stampe il suo secondo libro, che ancora devo leggere purtroppo, Il Ministero della Suprema Felicità, nel 2017. Nel frattempo ha fatto la sceneggiatrice ed è diventata una grande attivista dei diritti umani: una bengalese induista che difende i diritti degli islamici nel suo paese, l’India. Si proprio l’India, quel paesino popolato da oltre un miliardo e trecento milioni di abitanti. Esatto proprio il secondo più popolato al mondo dopo la Cina.
Cito alcuni passaggi che mi sono piaciuti moltissimo:
Il virus si è spostato liberamente lungo le vie del commercio e del capitale internazionale, e la terribile malattia che ha portato con sé ha imprigionato le persone nei loro paesi, nelle loro città e nelle loro case. Ma a differenza del flusso di capitali, questo virus cerca la diffusione, non il profitto, e quindi involontariamente, e in una certa misura, ha invertito la direzione di quel flusso. Si è fatto beffe dei controlli sull’immigrazione, della biometrica, della sorveglianza digitale e di ogni altro tipo di analisi dei dati e, finora, ha colpito in misura maggiore i paesi più ricchi e più potenti del mondo, fermando con un improvviso sussulto il motore del capitalismo. Forse provvisoriamente, ma almeno per il tempo che basta a permetterci di studiarlo, di fare una valutazione e di decidere se vogliamo aggiustarlo o cercare un motore migliore.
I mandarini che gestiscono questa pandemia amano definirla una guerra. Non usano questa parola come una metafora, ma alla lettera. Se fosse davvero una guerra, però, quale paese dovrebbe essere più preparato ad affrontarla degli Stati Uniti? Se i suoi soldati in prima linea invece che di mascherine e guanti avessero bisogno di fucili, armi intelligenti in grado di demolire bunker e neutralizzare sottomarini, caccia a reazione e bombe atomiche, pensate che non ne avrebbero a sufficienza?
Sera dopo sera, da mezzo mondo, alcuni di noi guardano le conferenze stampa del governatore di New York con una fascinazione che è difficile da spiegare. Seguiamo le statistiche e ascoltiamo le storie di ospedali al collasso negli Stati Uniti, di infermieri sottopagati e sovraccarichi di lavoro che devono fabbricarsi le mascherine da soli con sacchetti della spazzatura e vecchi impermeabili, e che rischiano la vita per soccorrere i malati. Storie di stati costretti a farsi concorrenza per procurarsi i ventilatori polmonari, di dilemmi dei medici su qua- le paziente salvare e quale lasciar morire. E pensiamo: “Dio mio! Questa è l’America!”.
La tragedia è immediata, reale, epica e si svolge sotto i nostri occhi. Ma non è una novità. È il catastrofico risultato di un treno che procede sbandando sui binari da anni.
Lo strappo
Cos’è questa cosa che ci sta capitando? È un virus, certo. In sé non ha nessun mandato morale. Ma è decisamente qualcosa di più di un virus. Qualcuno crede che sia il modo di dio per riportarci alla ragione. Altri che sia un complotto cinese per impadronirsi del mondo. Qualunque cosa sia, il nuovo coronavirus ha messo in ginocchio i potenti e fermato il mondo come nient’altro avrebbe potuto fare. Il nostro cervello continua a girare pensando al ritorno alla “normalità”, cercando di cucire il futuro al passato e rifiutandosi di ammettere che c’è stato uno strappo. Ma lo strappo c’è stato. E, in questa terribile disperazione, ci offre la possibilità di rivedere la macchina apocalittica che ci siamo costruiti. Nulla potrebbe essere peggio di un ritorno alla normalità.
Storicamente, le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è diversa. È un porta- le, un cancello tra un mondo e un altro. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, la nostra avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi. Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso. E a lottare per averlo.
Ho trovato questo articolo molto più illuminante delle tante ore di trasmissioni viste finora.
LA SERRA DI SERRA E DEI LOMBARDI
Ieri ho avuto un’accesa discussione con una utente di Twitter che si era scagliata contro la rubrica che Michele Serra, L’Amaca, aveva scritto tre giorni fa, credo, su Repubblica. Avevo detto che Serra aveva offeso tutti i lombardi e che lei si pentiva di aver comprato Repubblica per 30 anni e di aver sostenuto Cuore, il settimanale satirico di cui Serra è stato fondatore. Serra a suo avviso aveva detto che i lombardi si erano meritati il Covid 19 come i gay l’AIDS. A leggere l’articolo non era affatto così.
Io ho risposto che pur non apprezzando tutto l’articolo concordavo su un punto, cioè che la gestione della sanità della Lombardia, oggi messa sotto accusa dai fatti e nei fatti, non può essere demandato ad un discorso di gestione politica degli ultimi anni di giunta del governo leghista, ma a qualcosa di molto più profondo e lontano, che ha radici antropologiche. Intendevo dire che bisogna fare i conti con sé stessi quando si decide di mandare certe persone al governo della propria regione. Soprattutto si criticava una forte idea di rendere il welfare, sanità inclusa quindi, un business e non un diritto sul modello americano.
Mi si rispondeva che tutti i suoi amici lombardi erano offesissimi e che io non ero empatico!
Altre persone dicevano che quella era solo un’invettiva e che la Lombardia non era un monolite leghista. I toni qui erano già più morbidi. Poi io ricordavo che è vero che a Milano governa Sala, persona moderata che stimo, ma forse Milano è una cosa e la Lombardia è un’altra. Quando ricordavo che la Regione Lombardia dal 1994, entrata in vigore dell’elezione diretta dei governatori, ha avuto solo presidenti di destra, compreso Formigoni, con tutti gli scandali annessi e connessi, poi solo giunte a guida Lega. Inoltre prime del 1994 a parte due anni dell’esperienza Ghilardotti, ha sempre avuto giunte guidate dalle parte più a destra della Democrazia Cristiana. Se non bastasse ricordavo che proprio la Lombardia, Milano in testa è stata la culla di quel modello antropologico e politico, chiamato MILANO DA BERE, proprio come il claim di un famoso amaro, che è diventato marchio di fabbrica del craxismo e cullo del berlusconismo del cavaliere di Mediaset!
Qui mi si diceva che questi non sono argomenti da saggio storico o articoli e che i social non sono la sede giusta per affrontarli. Qui cito un bel film che molti spero conoscano, Il Grande Freddo, quando viene detto “La gente leggeva Dostoevskij nei cessi!”.
Troppo comodo dire una cosa del genere.
Fare i conti con la politica è diventato un alibi da Mani Pulite in poi. Come sono arrivati lì? Chi li ha votati? Sono alieni? C’è stato un colpo di stato e non lo sappiamo? Perché Amadeus e Fiorello (che a me piacciono tantissimo) non ne hanno fatto un quiz o un festival? Se vogliamo una guerra cominciamo a prenderci le responsabilità, che sono le nostre e non facciamo come Craxi che diceva “rubavano tutti!”
COME DIFENDERCI?
Possibile che logica, buon senso, sincerità non abbiano più corso legale in Italia?
Questa frase è di Andrea Camilleri, il compianto autore del Commissario Montalbano e ha pienamente ragione quando parla di logica e buonsenso!
Come se ci fosse qualcosa di più comune della mancanza di buon senso.
(Marco Tullio Cicerone)
Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune.
(Alessandro Manzoni)
Sperare nel buonsenso delle persone è la prova che non si possiede buonsenso.
(Eugene O’Neill)
Saggezza e buon senso si ottengono in tre modi: primo con la riflessione, che è la cosa più nobile; secondo attraverso l’imitazione, che è la cosa più semplice; e terzo con l’esperienza, che è la cosa più amara di tutte.
(Confucio)
Le citazioni che ho messo danno la misura di come il buonsenso sia qualcosa di ricercato importante in tutte le latitudine ed epoche storiche. Attenzione però, il buonsenso non è il senso comune, cioè quello che farebbe la maggior parte delle persone, anzi spesso è l’opposto!
Un’altra persona criticava la nostra classe politica visto il ritardo con il quale tutti gli altri paesi hanno già riaperto e superato il lockdown. Alla richiesta di quali siano questi paesi è seguito un silenzio da film western prima di una sparatoria.
Il buonsenso è quello che si affida alla logica, quello che non va a fare le gite a pasquetta, quello che non dice che questo è tutto un complotto per il 5G e cos’altro.
Soprattutto il buonsenso ci dice che questa non è una guerra, perché se lo fosse l’abbiamo già persa! Se non si capisce questo è inutile anche discutere.
Il buonsenso lo ritrovo nelle frasi di Gianluca Vialli, ex campione di calcio della Sampdoria, che ho scoperto anche lui aver affrontato il tumore, e dopo 18 mesi non avere più segni di recidive – gli mando un abbraccio.
Un giornalista sull’esperienza del dolore e della malattia, che Vialli definiva un viaggio, cosa su cui concordo, gli chiedeva se si diventa migliori, lui rispondeva:
SI DIVENTA CIO’ CHE SI E’
E noi? Cosa siamo?
Buongiorno e Scusate il disturbo.